Le disuguaglianze sulla salute

In Italia non siamo tutti uguali davanti alla salute, alla durata della vita e alle possibilità di cura. Si vive di più al Nord rispetto al Sud, muore più tardi chi ha un’istruzione più elevata rispetto a chi è meno scolarizzato. E rinunciano a curarsi gli anziani, le persone meno istruite e con status economico più basso. Ecco il quadro effettuato da L’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane relativo alle disuguaglianze sociali sulla salute in Italia, i cui dati testimoniano il sostanziale fallimento delle politiche: troppe e troppo marcate le differenze regionali e sociali rispetto all’aspettativa di vita e alle condizioni di salute.
Secondo l’analisi, i fattori principali delle disuguaglianze sono legati al contesto (non tutte le regioni ricevono gli stessi soldi per curare i malati), al grado di urbanizzazione e a fattori individuali (sia biologici, ma soprattutto di natura socio-economica, legati a titolo di studio, condizione professionale e reddito).
 

La rinuncia alle cure, un dramma che colpisce i redditi più bassi

Alle disuguaglianze sulla salute si affiancano quelle di accesso all’assistenza sanitaria pubblica. Si tratta delle rinunce, da parte dei cittadini, alle cure o prestazioni sanitarie a causa dell’impossibilità di pagare il ticket per la prestazione. La difficoltà di accesso alle cure sanitarie è un problema particolarmente grave perché impatta molto sulla capacità di prevenire la malattia, o sulla tempestività della sua diagnosi:

  • Nella classe di età 45-64 anni le rinunce ad almeno una prestazione sanitaria è pari al 12% tra coloro che hanno completato le scuole dell’obbligo e al 7% tra i laureati.
  • La rinuncia per motivi economici tra le persone con livello di studio basso è pari al 69%, mentre tra i laureati si ferma al 34%.

 

Quanto puoi vivere se abiti a …?

Gli indicatori evidenziano l’esistenza di sensibili divari di salute sul territorio, alcuni esempi:

  • In Campania gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3.
  • Nella Provincia Autonoma di Trento gli uomini 81,6 anni e le donne 86,3.
  • In generale, si vive di più nelle regioni del Nord-est, 81,2 anni gli uomini e 85,6 le donne.
  • Decisamente inferiore l’aspettativa di vita nelle regioni del Mezzogiorno: 79,8 anni per gli uomini e a 84,1 per le donne.
  • Tali divari sono persistenti in particolare in Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata, Lazio, Valle d’Aosta e Piemonte, che restano costantemente al di sotto della media nazionale. Tra queste la Campania, la Calabria e la Sicilia peggiorano addirittura la loro posizione nel corso degli anni.
  • Per contro, quasi tutte le regioni del Nord, insieme ad Abruzzo e Puglia, sperimentano, stabilmente, un’aspettativa di vita al di sopra della media nazionale.
  • Scendendo nel dettaglio territoriale, il dato sulla sopravvivenza mette in luce l’enorme svantaggio delle province di Caserta e Napoli che hanno una speranza di vita di oltre 2 anni inferiore a quella nazionale, seguite da Caltanissetta e Siracusa che palesano uno svantaggio di sopravvivenza rispettivamente di 1,6 e 1,4 anni.
  • Le Province più longeve sono quelle di Firenze, con 84,1 anni di aspettativa di vita, 1,3 anni in più della media nazionale, seguite da Monza e Treviso con poco più di un anno di vantaggio su un italiano medio.

 

Mortalità prematura: a seconda di dove abiti rischi di più o di meno

Campania, Sicilia, Sardegna, Lazio, Piemonte e Friuli presentano valori elevati di mortalità prematura. Un dato molto negativo, visto che si tratta di morti evitabili con idonee politiche di prevenzione.
 

Se hai studiato vivi di più

Non meno gravi i divari sociali di sopravvivenza. In Italia, un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea; tra le donne il divario è minore, ma pur sempre significativo: 83 anni per le meno istruite, circa 86 per le laureate.
 

Anche la presenza di cronicità varia a seconda dello status sociale

Anche le condizioni di salute legate alla presenza di cronicità, denunciano sensibili differenze sociali:

  • Nella classe di età 25-44 anni la prevalenza di persone con almeno una malattia cronica grave è pari al 5,8% tra coloro che hanno un titolo di studio basso e al 3,2% tra i laureati.
  • Tale gap aumenta con l’età, nella classe 45-64 anni, è il 23,2% tra le persone con la licenza elementare e l’11,5% tra i laureati.

 

Il rischio per le future generazioni – l’esempio dell’obesità

I divari di salute sono particolarmente preoccupanti quando sono così legati allo status sociale, poiché i fattori economici e culturali influenzano direttamente gli stili di vita e condizionano la salute delle future generazioni.
Un tipico esempio è rappresentato dall’obesità, uno dei più importanti fattori di rischio per la salute futura, la quale interessa il 14,5% delle persone con titolo di studio basso e solo il 6% dei più istruiti. Anche considerando il livello di reddito gli squilibri sono evidenti: l’obesità è una condizione che affligge il 12,5% del quinto più povero della popolazione e il 9% di quello più ricco. I fattori di rischio si riflettono anche sul contesto familiare, infatti il livello di istruzione della madre rappresenta un destino per i figli, a giudicare dal fatto che il 30% di questi è in sovrappeso quando il titolo di studio della madre è basso, mentre scende al 20% per quelli con la madre laureata.
Fonte:
https://www.osservatoriosullasalute.it/wp-content/uploads/2018/02/Osservatorio-sulla-salute_Le-disuguaglianze-di-salute_15_02_2018.pdf