La pelle potrebbe contribuire a regolare pressione e frequenza cardiaca

È questa la tesi di un pool ricercatori dell’Università di Cambridge nel Regno Unito e del Karolinska Institut, in Svezia. La sperimentazione, effettuata ad oggi sui topi, ha fino ad ora dato esiti positivi.
La bassa presenza di ossigeno, temporanea o prolungata, è una condizione comune e può essere correlata all’ambiente naturale o a fattori quali il fumo e l’obesità. Secondo gli esperti la pelle potrebbe svolgere un ruolo importante nel controllo della pressione sanguigna quando l’ossigeno scarseggia.
La ricerca
Per studiare il ruolo della pelle nella regolazione della pressione sanguigna, gli autori hanno modificato geneticamente topi di laboratorio in modo che non fossero in grado di produrre alcune proteine HIF e li hanno esposti a un basso livello di ossigeno.
Gli scienziati hanno così scoperto che nei topi a cui mancava una delle due proteine appartenenti alla famiglia HIF e presenti nella cute, chiamate HIF-1α e HIF-2α, la risposta a bassi livelli di ossigeno aveva notevoli ripercussioni sulla loro frequenza cardiaca, sulla temperatura cutanea, e sui livelli generali di attività.
Secondo gli scienziati i risultati indicano che la risposta della pelle ai bassi livelli di ossigeno può avere effetti sostanziali su come il cuore pompa il sangue nell’organismo.
 
Infine, i ricercatori hanno anche mostrato che la risposta dei topi sani alla mancanza di ossigeno era più complessa di quanto ipotizzato. Nei primi dieci minuti, la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca aumentano, poi segue un periodo, che può durare fino a 36 ore, in cui entrambi questi parametri scendono al di sotto dei livelli normali, che ritornano 48 ore dopo l’esposizione a bassi livelli di ossigeno. La perdita delle proteine HIF cambiano drasticamente la tempistica di questo processo.
 
La speranza, per il team di ricercatori, è che questo studio possa in futuro consentire una migliore comprensione di come la risposta dell’organismo a queste condizioni possa incrementare il rischio d’ipertensione.
 
Fonte: https://elifesciences.org/articles/28755